Il Mammolo è uno dei vitigni storicamente più diffusi in
Toscana.
A fine Seicento il botanico P.A. Micheli in “Istoria delle Viti
ne descrive vari biotipi che si coltivano nella Toscana”: Mammolo
nero, Rosso, Sgrigliolante e Piccolo Rosso Nero.
Il Mammolo Sgrigliolante – ‘scricchiolante’ –
si chiama così poiché i suoi granelli “quantunque
siano alquanto appassiti in su la pianta perché maturano più
presto degli altri stiantano grandemente sotto il dente, per lo che la
gente che usano coltivare questo viziato lo chiamano Mammolo Sgrigliolante”.
Nella stessa epoca Bartolomeo Bimbi lo dipinge nelle tavole dedicate alle
uve coltivate nelle ville medicee; il Conte di Rovasenda nel 1877 ne cita
diversi tipi, tra cui il Mammolone, che dice di aver ricevuto da Lucca.
Da sempre presente al fianco del Sangiovese e del Canaiolo, il Mammolo
è ancora sporadicamente diffuso nelle vecchie vigne toscane: è
parte integrante del tipico uvaggio dei migliori Nobile di Montepulciano.
La sua maturazione tardiva e la scarsa colorazione dei suoi vino lo hanno
reso inviso agli enologici moderni, che non hanno saputo invece esaltarne
la freschezza dei profumi e la tipicità dei suoi vini.
Recenti indagini genetiche svolte in Francia hanno stabilito che il Mammolo
e lo Sciaccarello diffuso in Corsica sono identici, ma l’origine
toscana del vitigno è stata riconosciuta dagli stessi francesi.
In Corsica, dove è conosciuto anche con il sinonimo di Muntanaccia,
è diffuso su circa 700ha e dà origine a vini rossi, ma soprattutto
rosati, non molto strutturati ma dalla grande complessità aromatica.
Foglia media, pentagonale, profondamente pentalobata, seno peziolare
a U aperto, pagina inferiore cotonosa.
Grappolo medio, tronco-conico, mediamenente compatto, alato, acino grande
rotondo di colore violaceo anche a maturazione.
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